E V I T A
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"L'urlo di Evita " opera del Maestro Vincenzo Greco realizzato in occasione della mostra e dedicata ad Evita per il B&B la Casa di Evita " Art e Design"
Il Ministro Argentino Carlos Cherniak insieme a Giusy Evita Musso , Jsaias Rodriguez Diaz Ambasciatore del Venezuela , la scrittrice Ines Kainer e la Consigliere Comunale Federica Luzzo
L'artista Vincenzo Greco autore delle opere pittoriche dedicate ad Evita insieme a Giusy Evita Musso e al Ministro Carlos Cherniak
La bandiera argentina
L'artista Vincenzo Greco autore delle opere pittoriche dedicate ad Evita insieme a Giusy Evita Musso e al Ministro Carlos Cherniak
A pranzo con il ministro e l'ambasciatore al ristorante "il pirata" a Cinisi
L'artista Vincenzo Greco a pranzo con il ministro e l'ambasciatore al ristorante "il pirata" a Cinisi
Evita Peròn, una donna mito della propria nazione, dopo anni
di silenzio, di poche e controverse notizie sul suo
conto, torna improvvisamente alla ribalta. Numerosi libri
tentano di raccontarla, esaltandola, denigrandola,
narrando episodi più o meno famosi tentando di tracciare una
figura che, comunque, risulta unica, affascinante dai
mille volti.
Con Evita si racconta la storia del popolo Argentino, del
sindacalismo operaio, dei descamisados, delle
rivendicazioni femminili..
Nasce povera, figlia illegittima, ma con una forte volontà
di riscossa che la porterà a rincorrere un sogno, quello di
diventare un'attrice, e la condurrà, invece, a diventare la
Dama de la speranza, la "mamma "del popolo argentino.
Seguendo alcune linee direttrici si analizzerà la
personalità di questa donna, ricostruendo le varie tappe delle sua
vita, la crescita personale ed interiore e si tenterà di
legare con un filo conduttore il pensiero e l'azione, le speranze
per se stessa e per il proprio popolo.
Alcuni cenni sul Peronismo e sulla realtà sociale
dell’Argentina completeranno il quadro che ci consentirà di
comprendere al meglio le linee guida dell’azione politica di
Evita e le idee che l’hanno ispirata.
Si tenterà di capire, insomma, come questa donna sia
diventata “mito” ed eroina per il proprio popolo; come abbia
scosso le coscienze di milioni di persone che, a distanza di
decenni, ne portano ancora il ricordo nel cuore.
EVA DUARTE: cenni biografici
Eva Maria Duarte nasce a Los Toldos, in Argentina il 7
maggio 1919, figlia illegittima e di famiglia povera. Soffre
molto la sua condizione di figlia illegittima, soprattutto
perché, spesso viene allontanata dagli altri .
Fin da bambina emerge una forte personalità, sente dentro di
sé la volontà di riscatto, si sente diversa e vuole
rimanerlo. Fin dagli anni della scuola Eva sente una forte
attrazione per la recitazione e cova dentro di se il
desiderio di divenire attrice.
A 15 anni, nel 1935, Eva parte e si trasferisce a Buenos
Aires, lasciando la madre e la famiglia per tentare la
carriera di attrice teatrale, prima, e radiofonica poi. Si
narra di un'Evita poco fortunata, dalle doti mediocri, spesso
povera e ridotta quasi alla fame. Ma la tenacia e la volontà
di arrivare, la spingono ad andare avanti tra mille
difficoltà.
Nel 1939 Eva comincia una serie di programmi radiofonici che
le porteranno la celebrità; si alterna nei ruoli di
eroine come Caterina di Russia e in quelli di ragazze
semplici che si innamorano di giovani altolocati e, dopo storie
ed episodi strazianti, riescono a realizzare il sogno.
Alla fine del 1943 Eva conosce Peròn, e il 22 gennaio 1944 i
due si rincontrano al Festival del Luna Park di Buenos
Aires dove, si dice, abbia inizio la loro storia d'amore.
Peròn la ricorda così: " Aveva la pelle bianca ma, quando
parlava, il volto le si infiammava. Le mani diventavano
rosse a forza d'intrecciarsi le dita. Quella donna aveva del
nerbo".
Nel 1945 partecipa all’organizzazione della manifestazione
per la liberazione di Peròn, allora Vicepresidente del
governo, imprigionato ed allontanato dal potere da una parte
delle forze armate. Eva si adopera per mobilitare i
descamisados, i poveri argentini, gli operai e i sindacati.
Una folla enorme e tutt’altro che rassegnata scese in
piazza e, a furor di popolo, Peròn viene liberato.
Alla fine del 1945 Eva e Peròn si sposano e, nel febbraio
del 1946, Peròn viene eletto Presidente dell'Argentina.
Eva, da allora assunse un ruolo fondamentale. Si impegnò in
battaglie politiche e sociali, la troveremo immersa in
opere di volontariato puro, di assistenza e nel ruolo di
Ministro. Da Eva comincia a nascere la "Evita" e dall'attrice
radiofonica comincia a nascere la Dama de la speranza.
1947 Evita visita l'Europa; si reca in Spagna, in Italia, in
Francia e viene ricevuta dal Papa in Vaticano.
1948: Viene creata la fondazione Eva Peròn, che avrà poteri
illimitati e campo d'azione senza confini e
rappresenterà un nuovo modo di gestire le opere di
assistenza sociale. Grazie al suo lavoro intenso ed
appassionato, Evita si guadagnerà di giorno in giorno
l'amore e l'adorazione delle masse popolari.
1951 La Confederatiòn Generale de Trabajo propone la
candidatura di Evita alla Vicepresidenza. Il 31 agosto Evita
è costretta a rinunciare ufficialmente per motivi di salute,
in realtà per l'ostilità dell'esercito.
26 Luglio 1952: Evita muore dopo una lunga malattia. Peròn
capì che bisognava preparare il popolo alla morte di
Evita, tacere la realtà non era più possibile. Un mormorio
di preghiere colme di un'intima speranza si alzava nelle
strade, nei villaggi, dal nord al sud dell'Argentina. C'era
qualcuno che era disposto ad offrire la propria vita in
cambio di quella di Evita....Per tredici giorni il cuore
dell'Argentina cessò di battere.
1955 La salma di Evita viene trafugata e scompare senza
lasciare traccia. Viene riconsegnata a Peròn nel 1971
quando era in esilio a Madrid. Solo nel 1974 tornerà in
Argentina.
EVITA IN EUROPA
"Evita rappresenterà le donne argentine in Europa. E
noi vogliamo che sia bellissima. Il consiglio che vorremmo
darle è quello di pettinarsi con i capelli raccolti, lo
chignon è la pettinatura che le sta meglio. Potrebbe dirglielo lei,da parte
nostra?": Così un gruppo di donne umili, dalla pelle scura, vestite
poveramente, si recarono alla vigilia
della partenza di Evita come "ambasciatrice
straordinaria" nel Vecchio Continente nella redazione di
"Democracia"
con la speranza di incontrare la dama della speranza.
Dopo il '46, anno dell'elezione a presidente di Peròn,
infatti, Evita diventa la "regina" d'Argentina ; da quel momento
in poi collaborerà con tutte le sue energie alla causa
peronista, e nel '47 sarà la protagonista di una trionfale visita
in Europa: in Spagna, Italia, Francia ed infine dal Papa,
evento lungamente preparato dalla diplomazia argentina
che suscitò vasta eco. I giornali dell'epoca ne danno un
resoconto entusiasmante. "Riporto da Roma - dirà la
moglie del presidente argentino - un'impressione
indimenticabile: in Vaticano tutto respira santità".
Il 6 giugno ‘47, dunque, Evita prende l'aereo per la Spagna,
un viaggio "simbolico" e politicamente significativo:
tornare alle origini con un pellegrinaggio interiore unito
alla nostalgia per le sue origine basche. Evita si recava in
Europa - si disse all'epoca - per lanciare un
"arcobaleno di bellezza" tra i due continenti. E così fu. Tre giorni
prima
della partenza, però, non mancò di inaugurare il primo dei
suoi "pensionati di transito". Un giorno - si legge in tutte
le sue biografie - era arrivata a Buenos Aires senza avere
un letto dove andare a dormire, adesso altre ragazze
come lei avrebbero avuto tutto quello che a lei era mancato.
E questo divenne ben presto l'unica ragione della sua
brevissima vita, stroncata all'età di 33 anni.
L'accoglienza in Spagna fu regale, come nel resto d'Europa.
"La piazza - scrive la Ortiz nella sua biografia "Evita
un mito del nostro secolo" - era sempre nera di gente,
un fenomeno che al passaggio di Eva si ripeté dappertutto...
Più Evita va a sud e più suscita l'idolatria". Il suo
amore viscerale per gli umili e i diseredati non tardò ad esprimersi:
a Madrid si intestardì a voler visitare con un caldo
infernale i quartieri poveri della città. Agli uomini dal volto
scavato chiedeva se avessero un lavoro, si interessava alle
malattie degli altri, regalando pesetas e ripetendo
incessantemente che non si trattava di carità, ma di
giustizia sociale. I poveri - ripeteva - hanno il dovere di
chiedere". La sorella, dopo la sua morte, raccontò che
Evita non piangeva praticamente mai: "Non versò una
lacrima quando seppe che stava per morire, ma di ritorno
dall'Argentina, pianse disperatamente mentre
annunciava la sua decisione di dedicarsi ulteriormente ai
poveri. Pianse quando concesse la pensione ai vecchi.
Pianse davanti alla miseria degli abitanti di un villaggio
della Cordigliera delle Ande”.
Durante la visita all'Escorial, l'ingenua e istintiva Evita
commentò a voce alta: "Quante stanze! Ah, che bel
pensionato per orfani si potrebbe fare".
Dopo la Spagna fu la volta dell'Italia. Il 26 giugno '47
prese l'aereo per Roma esclamando: "Adiòs Espana mìa".
All’aeroporto della capitale italiana la aspettavano il
conte Carlo Sforza, ministro degli Esteri del governo De
Gasperi, insieme alla moglie e ad alcuni esponenti del
Vaticano. Di fronte all'ambasciata, in piazza dell'Esquilino,
Evita fece fronte con austerità e coraggio alla
contestazione della cellula comunista che aveva sede di fronte. Il
giorno dopo si consumò la visita ufficiale da Pio XII. Il
Papa pronunciò qualche parola in spagnolo per benedire la
moglie del presidente e poter dire che seguiva con
attenzione "il lavoro di Peròn suo figlio prediletto", poi regalò ad
Evita un rosario d'oro. Il colloquio durò venti minuti: alla
madonna dei descamisados era stato riservato lo stesso
tempo dedicato alle regine. All'indomani dell'incontro con
il pontefice Evita ricevette a nome di Peròn la gran croce
di San Gregorio Magno. Durante un ricevimento offerto da
un'associazione femminile rinnovò il suo sostegno per il
voto alle donne. " Il mio nome - disse - è diventato il
grido di riconoscimento delle donne di tutto il mondo. E' giunto
il momento di avere gli stessi riconoscimenti degli
uomini". Ma la sua vera ossessione era l'opera sociale ed il
volontariato. Al ritorno in Argentina dirà a Peròn:
“L'Europa è vecchia: i palazzi sono molto belli... ma per farne degli
ospedali". Dopo l'Italia il viaggio proseguì a zig-zag:
Lisbona, Parigi, Costa Azzurra, Svizzera, ancora Lisbona per
volare a Dakar dove prenderà la nave per l'Argentina. In
Francia la notizia del suo arrivo - racconta sempre la Ortiz
- provocherà reazioni alla francese: una via di mezzo tra la
galanteria e l'ironia. Certo è che anche lì fu un vero
successo: alla piccola Eva Duarte, problemi politici a parte
tra Francia e Argentina, venne consegnata la Legione
d'Onore. L'ultimo giorno Evita visitò Versailles e la tomba
di Napoleone di cui aveva grande ammirazione. La sua
visita ebbe come conseguenza inaspettata: il cambiamento del
nome di una stazione della metro che da
"Obligado" diventò "Argentine". Evita
precisò senza supponenza che Obligado non era stata una vittoria dei
francesi, come essi amavano credere, ma degli argentini.
L'Europa la ricevette come non ha mai ricevuto nella storia
nessun'altra donna.
EVITA PERÒN
Le umili origini di Eva, l'indigenza vissuta per molti anni
la portano ad occuparsi subito dei poveri, dei meno
fortunati, del popolo vero e proprio. Sa benissimo che
quando si è poveri il tempo passa in fretta, ed in fretta si
deve agire. In un garage del palazzo presidenziale Evita
raccoglie beni di ogni genere da distribuire ai bisognosi,
chiama questo luogo "Negozio delle delizie", dove
ogni cosa viene rigidamente classificata. Subito si instaura con
la sua gente un rapporto speciale; arrivano lettere da ogni
parte del paese ed Evita vive per accontentare ognuna
di esse dalle più importanti alle più frivole.
In questo momento è la passione della donna a prevalere,
ancora il senso rivoluzionario del suo agire non si è
messo in mostra. Si pensa al quotidiano, ad intervenire con
"il cuore" con uno spontaneismo molto forte ma ancora
poco efficace.
Dopo il viaggio in Europa Evita torna in Argentina e si
mette all'opera, con una forza ed una determinazione senza
eguali.
La personalità di Evita comincia ad emergere, comincia a
scendere in campo, a dare battaglia e a rivoluzionare
tutto ciò su cui mette mano. Il 23 settembre 1947 presenta
la legge che riconosce il diritto di voto alle donne, unagrossa vittoria per
lei, talmente importante che l'11 novembre del 1951, già malata e reduce da una
crisi molto
forte, un'urna elettorale venne portata ai piedi del suo
letto. Era la prima volta in cui le donne argentine
partecipavano alle elezioni. "Ecco, ho votato"
disse e scoppiò a piangere per l'emozione.
Nel 1949 venne istituita ufficialmente la Fondazione Eva
Peròn, opera di assistenza sociale, uno strumento
fondamentale che funzionò fino al 1955, anno della caduta di
Peròn.
Costruì mille scuole e 18 pensionati in provincia, 4 policlinici
a Buenos Aires e altri 9 sempre in provincia. Fondò la
città dei bambini, dove i bambini poveri venivano ospitati
per potersi finalmente sentire in un mondo a loro
dimensione, il quartiere degli studenti, la casa per le
ragazze nubili, per le impiegate..."Quante volte le sue visite ad
ore assurde per controllare le condizione dei bambini, il
cibo, le provviste...".
Grandi opere, importantissime, ma grandi soprattutto nel
modo in cui venivano realizzate. In ogni angolo, in ogni
sala si respiravano e pulsavano l'amore e la passione per la
propria gente. Nessuno di questi edifici poteva
risultare freddo o anonimo. Questo il grande dono di Evita:
pensava al popolo come a se stessa.
La casa dei bambini, per esempio, non era un edificio a se
stante, ma una vera e propria cittadella in miniatura,
dove i colori, i disegni, la forma delle finestre, i tetti
rossi, facevano percepire serenità e spensieratezza, sentimenti
che i bambini dovevano sentire e assaporare dentro di loro.
Lo stesso rispetto, gli stessi sentimenti venivano trasmessi
verso gli anziani. I pensionati, le colonie estive,
l'approvazione dello statuto degli anziani, fanno sentire in
modo forte un nuovo legame che unisce il popolo
argentino. Un legame trasversale, che attraversa le
generazioni, i ranghi sociali, i ruoli.
Si dice che Evita, il giorno della promulgazione dello
Statuto, quando consegnò per la prima volta le pensioni a
1000 pensionati pianse, insieme a loro. Pianse per la gioia
di poter assicurare una vecchiaia serena agli anziani
argentini, per aver costruito pensionati talmente a misura
d'uomo, da desiderare di trascorrere in quel luogo ed
insieme a loro, la sua vecchiaia.
E ancora sorsero la casa dell'impiegata, il sindacato delle
domestiche, le colonie turistiche che ospitavano fino a
3000 persone, tutte opere necessarie per accrescere il
legame comunitario e solidaristico della gente. Questo è un
merito fondamentale della politica di Evita. La sua opera
non era soltanto un impegno a favore dei più deboli, dei
suoi descamisados, ma la volontà precisa di radicare nel
profondo del suo popolo un legame molto forte, un senso
di appartenenza che travalicasse ogni rivendicazione
sociale, uno spirito di unione talmente forte da trasformare la
popolazione Argentina in un popolo unito.
Il 26 luglio del 1949, riemerge con forza la volontà di
occuparsi delle donne, dei loro problemi, di seguirle da vicino.
Questo rapporto, però, si evolve, diventa politico. Evita
vuole rivoluzionare anche il ruolo delle donne nella vita
politica. Comincia proprio quel giorno fondando il partito
peronista femminile, alla cui presentazione accorsero 1000
donne argentine.
Riconosce le condizioni disagiate delle donne nella società
argentina; vuole agire in favore delle lavoratrici,
sottopagate e sfruttate. Sostiene che la condizione della
donna, nella visione della complementarità e della
differenza dei ruoli, e dei sessi, deve essere affrontata e
risolta dalle donne stesse. Solo chi è attore e protagonista
della vita sa affrontare ciò che deve sconfiggere. E' un po'
il concetto che emerge dalla sua continua azione in
sostegno dei poveri. Lei, che è stata povera, sa cosa vuol
dire vivere da povera, cosa sognano i poveri, di cosa
hanno realmente bisogno. Sa cogliere le sfumature, capisce
che spesso, un gesto appropriato, un dono "frivolo"
che accompagna quelli un po' più seri, può donare una
felicità, una spensieratezza tali che aiutano a tornare alla
propria vita con un “pizzico” di speranza in più.
"In politica la donna deve essere a fianco dell'uomo,
ma senza mai permettergli di immischiarsi nei suoi affari..."
sostiene Evita; un riassunto molto diretto del pensiero
appena espresso.
Il Partito femminile era, in fondo, un'altra sfaccettatura
della fondazione. L'aria che si respirava era la stessa, il
medesimo spirito, le stesse le intenzioni di base. Era
organizzato in province ed ogni delegata provinciale doveva
occuparsi del territorio ed agire, riferire ed intervenire
come, per e secondo il modo di essere incarnato da Evita.
Aiutare il prossimo, rendersi utili alla comunità, agire,
lavorare senza sosta e con furore, erano i requisiti delle
delegate e le caratteristiche richieste da Evita. Costruire
un movimento che trascini il popolo, che gli trasmetta
energia, voglia di fare e di occuparsi degli altri per riaffermare,
sempre e ancora più forte, l'identità di popolo. Nel
1951 Evita ottiene la presenza di 6 senatrici donne nelle
liste elettorali peroniste, un'altra vittoria per un percorso
politico sempre agguerrito e rivoluzionario.
Il 25 aprile del 1952 vengono elette 31 donne al parlamento
argentino.
La fondazione e il partito femminile, però, non la
allontanarono mai dal popolo. Continua ad operare come sempre
ha fatto. Ogni giorno riceve migliaia di lettere, si reca,
personalmente, presso le famiglie a portare i doni richiesti; si
interessa dei bambini più poveri regalando beni di ogni
genere e consegnandoli spesso di persona. Evita ha il forte
bisogno di sentire il popolo vicino, di trasmettere se
stessa e di farsi trasmettere emozioni spontanee, per
continuare nella sua opera, senza fermarsi mai. Il tempo,
ormai, passa veloce, la malattia avanza ed Evita sa che
la fine è vicina. "Quante volte è intervenuta
conducendo a casa sua, alla Residenza Presidenziale, dei bambini
trovati per strada che si grattavano disperatamente per la
scabbia..." "L'ho vista abbracciare i lebbrosi, i
tubercolosi, i malati.. l'ho vista stringere tra le braccia
degli straccioni e prendersi i loro pidocchi"...e ancora: "Non
avevo mai avuto dei pantaloni perché eravamo molto poveri...
il primo paio me l'ha dato Evita con le proprie mani
mentre distribuiva vestiti ai poveri..."I lavoratori, i
sindacati che, per primi, l'avevano conosciuta quando Peròn era prigioniero,
ebbero sempre un
rapporto sui generis con Evita. Un rapporto di rispetto
reciproco, di collaborazione e fiducia. I sindacati, spesso,
inviavano beni alla fondazione; i lavoratori, in alcuni
casi, devolvevano parte del salario per sostenere le opere
della fondazione. Opere grandi, importanti che, comunque,
avrebbero alleviato molte delle sofferenze cui erano
sottoposti.
Nel 1950, in prossimità delle elezioni, si pensava, e molti
si auspicavano, che la candidatura di Peròn alla
Presidenza coincidesse con quella di Evita alla
vicepresidenza. Il 22 agosto era la data fissata per annunciare la
candidatura di Evita, ma ciò non avvenne, l'ala militare
peronista non volle sentir parlare di questa vicepresidenza
ed Evita ebbe il compito di annunciarlo alla folla
insistente che voleva sentire, da parte sua, l'accettazione della
candidatura. "Ho solo un'ambizione personale, che il
giorno in cui si scriverà il capitolo meraviglioso della storia di
Peròn, di me si dica questo: c'era, al fianco di Peròn, una
donna che si era dedicata a trasmettergli le speranze del
popolo. Di questa donna si sa soltanto che il popolo la
chiamava con amore: Evita".
La malattia di Evita peggiorava ogni giorno di più. Sapeva
che il male non l'avrebbe lasciata e si consumava
lentamente, lavorando sempre di più per concludere le
proprie opere. Il suo cruccio più grande era quello di
lasciare Peròn, di non poter continuare ad affiancarlo, ad
aiutarlo nell'opera di governo del popolo argentino.
Spesso gli raccomandava i "suoi" poveri, temeva
che nessuno se ne occupasse come lei.
La morte era sempre più vicina, il popolo cominciava a
comprendere e, unito e sofferente, attendeva in strada che
un miracolo si compisse. Il 26 Luglio 1952 Evita muore dopo
una lunga malattia : nei giorni precedenti Peròn aveva
capito che bisognava preparare il popolo alla morte di
Evita, tacere la realtà non era più possibile. Un mormorio di
preghiere colme di un 'intima speranza si alzava nelle
strade, nei villaggi, dal nord al sud dell'Argentina. C'era
qualcuno che era disposto ad offrire la propria vita in
cambio di quella di Evita....Per tredici giorni il cuore
dell'Argentina cessò di battere, la sua ultima volontà era
stata quella di riposare in mezzo agli operai e, dopo mille
difficoltà, i sindacalisti la accontentarono.
"Ho solo un'ambizione personale. Che il giorno in cui
si scriverà il capitolo meraviglioso della storia di Peròn, di me
si dica questo: c'era al fianco di Peròn, una donna che si
era dedicata a trasmettergli le speranze del popolo. Di
questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con
amore Evita". (Eva Peròn)
CENNI SUL PERONISMO: "La terza via"
Questa parte del documento ci è sembrata indispensabile per
inquadrare il periodo storico in cui Evita visse, agì
politicamente e quali siano state le idee le idee forza che
hanno guidato la sua azione.
"L'Argentina mi rimpiangerà, il justicialismo mi
sopravviverà". Sono le ultime profetiche parole di Peròn quando,
nell'intento di evitare la guerra civile che avrebbe provocato
alla nazione danni e lutti irreparabili, nel settembre del
'55 lascia il paese a bordo di una cannoniera per
raggiungere il Paraguay.
Nel '72, unico nella storia, tornerà in Argentina come
trionfatore. "Nel '55 - dichiarò Peròn - fummo sloggiati da
gruppi di potere internazionali. Ce ne andammo per non
provocare la guerra civile. Siamo tornati perché convinti di
poter essere ancora utili al popolo argentino". Nulla
di più vero: nessuno degli otto presidenti eletti dopo l'esilio di
Peròn è riuscito a far meglio di lui.
Da fonti delle Nazioni Unite, non certo filoperoniste,
apprendiamo infatti che dopo la caduta del colonnello Peròn
l'Argentina subì: una forte diminuzione della produzione
agricola, l'aumento incessante del costo della vita,
un'inflazione crescente, la semiparalisi dei settori primari
dell'economia, un'accentuata pressione degli investimenti
stranieri, soprattutto nordamericani, l'aumento notevole
delle importazioni dovute al deterioramento della
produzione nazionale, la contrazione dei consumi interni, la
riduzione del volume dei crediti. Si determinò una
situazione rovinosa che Peròn riuscì nuovamente a sanare
tanto da essere accolto in trionfo dal popolo. Vediamo
gli elementi e le caratteristiche costitutive della
rinascita sociale messa in piedi dal peronismo
Il fulcro della politica e della dottrina peronista, com'è
noto, è costituita dalla ricerca di una "tercera posicion" che si
opponga tanto al capitalismo imperialista quanto al
totalitarismo di stampo marxista. Molto controverso è a tale
proposito stabilire la reale portata del
"fascismo" di Peròn e le influenze del socialismo nazionale italiano.
Senza
dubbio in occasione dei viaggi a Roma e poi a Berlino, come
ufficiale di Stato Maggiore, Peròn conobbe da vicino i
nuovi esperimenti corporativi in campo economico e sociale,
traendo la convinzione che, opportunamente adattate
alla diverse e complicate esigenze del popolo argentino,
avrebbero potuto offrire al suo paese e a tutta l'America
del Sud una spinta di progresso e giustizia sociale. Lo
stesso Peròn sull'argomento disse in molte occasioni:
"Alcuni dicono che siamo fascisti, altri che siamo
nazisti. Ma io domando loro: in quale Paese del mondo
l'economia è davvero libera? Quando non è diretta dal
governo è diretta dai grandi consorzi finanziari, con la
differenza che il governo la dirige a beneficio di tutti gli
abitanti del Paese, mentre i consorzi capitalistici la dirigono
per arricchire la loro già pingui casse":
Non a caso uno dei presidenti succeduto a Peròn, Frondizi,
sottolinea che l'unica forza reale e concreta che abbia
cambiato il volto dell'Argentina è stato il peronismo e che
"appartiene ad una distorsione europea l'idea che il
peronismo non sia stata una forma democratica".
Innanzitutto occorre premettere che il peronismo non si
configura come un partito politico, ma come un movimento.
"Non siamo un partito - ripeteva Peròn - siamo un
movimento politico e come tale non rappresentiamo interessi
settari né di partito, vogliamo rappresentare e
rappresentiamo gli interessi nazionali. Il nostro obiettivo - aggiunge -
è semplicemente quello che deve essere l'obiettivo di tutte
le nazioni che lottano per la felicità dei propri figli e per
la grandezza della Patria".Ed ancora: "Il nostro
movimento ha origine operaie e non vuole persone conosciute perché già ci
conosciamo
abbastanza, il nostro movimento vuole uomini onesti,
sinceri, capaci di lavorare per il bene comune e non per il
proprio tornaconto". In questa ottica vanno anche considerate
le particolari condizioni di vita del popolo argentino
quando Peròn venne eletto presidente: un paese arretrato e
poverissimo nelle mani di un'oligarchia al servizio dello
straniero ed un popolo - il popolo dei descamisados di Evita
- che conduceva una vita vegetariana. "La mia idea -
racconta Peròn - fu allora di mettere in marcia questo
Paese, un'idea semplice come l'uovo di Colombo, in quanto
a chiunque capiti di vedere una cosa ferma, la prima idea
che gli viene in mente è di muoverla, di farla
camminare...".
Proprio per questo al centro del programma di riscossa
sociale e nazionale sta la nobilitazione del lavoro,
presupposto fondamentale della libertà individuale.
"Noi dividiamo il Paese in due categorie: quella degli uomini
che lavorano e quella che vive alle spalle degli uomini che
lavorano. Di fronte a questo stato di cose - spiega il
capo del peronismo - noi ci siamo schierati dalla parte
degli uomini che lavorano". Quanto alla presunta attenzione
del marxismo per la stessa antropologia umana, nel peronismo
si sottolinea l'inadeguatezza della categoria della
lotta di classe, considerata un veleno che conduce alla
discordia permanente e alla distruzione di molti valori
fondamentali.
"Non appoggiamo il lavoratore - dirà Peròn nell'aprile
del '44 - contro il capitale socialmente sano né i monopoli
contro la classe lavoratrice, ma soltanto favoriamo
soluzioni che portino benefici, in parte eguali, ai lavoratori, al
commercio e all'industria perché ci interessa soltanto il
benessere della nostra patria".
La "redenzione sociale" dunque venne inizialmente
affidata alla riforma rurale, poi a quella industriale, infine a
quella sociale. Con la prima, grazie ad un più saggio e
razionale sfruttamento della terra, con l'aiuto del Consiglio
Agrario e la consegna della terra a chi la lavorava, venne
aumentata la ricchezza. Il paese divenuto più ricco in
virtù della maggiore produzione e moltiplicata la ricchezza
con l'industrializzazione dell'agricoltura trasse i primi
benefici. Naturalmente non mancarono le resistenze dei
"ricchi" alla rivoluzione peronista. "Quando decisi di
migliorare le condizioni della classe lavoratrice argentina
- spiega Peròn - pensai immediatamente che esistevano
due mezzi: uno consisteva nell'aumentare la ricchezza, il
che richiedeva un maggior lavoro ma non eravamo nelle
condizioni di farlo. Dovevamo ricorrere all'altro mezzo che
consisteva nel togliere a chi aveva per darlo a chi non
ne aveva".
Il peronismo sarà definito "umanesimo operante”: una
concezione sociale che tenta di equipaggiare gli uomini
dando loro eguali possibilità per assicurarsi un avvenire
nel quale a nessuno manchi il necessario.
"Il peronismo - dirà Peròn nell'agosto '48 - o si sente
o non si sente. Fortunatamente io non sono uno di quei
presidenti che si appartano; vivo con il popolo come ho
sempre vissuto, per poter conoscere le vicissitudini, le
ansie, i problemi, le preoccupazioni, le gioie e le
tristezze del popolo lavoratore. E provo un'intima soddisfazione
quando vedo che un operaio va ben vestito o va con la sua
famiglia a teatro. Provo allora la stessa soddisfazione
che proverei trovandomi nella stessa condizione di
quell'operaio. Questo è peronismo".
Un altro elemento costitutivo del modello politico di Peròn
è l'indipendenza dalla pressioni internazionali sul suolo
argentino. Nei confronti degli Stati Uniti, Peròn riteneva
che non ci sarebbe mai potuto essere un vero stato di pace
fino a quando il rispetto "all'integrità della sovranità
nazionale" non avesse prevalso su tutto il resto. "E' impossibile
- aggiunge - poter stabilire la pace morale, premessa della
pace totale, se l'intolleranza pretende di assoggettare
persino con mezzi coercitivi la vita degli altri ai modelli
e ai metodi propri".
Nei riguardi della donna, poi, il peronismo ebbe
un'attenzione ed una sensibilità straordinarie. "La società moderna
non limita il lavoro delle donne, però ha l'obbligo di
assicurare loro una efficace protezione... La retribuzione del
lavoro femminile con un salario inferiore può convertirsi in
fattore di sfruttamento e di competizione sleale per
l'uomo. Per questo è quindi fondamentale, per una vera
giustizia sociale e per un normale sviluppo del lavoro,
stabilire il principio che a ugual lavoro corrisponde uguale
salario".
Le verità del peronismo
Il 17 ottobre 1950 in una memorabile giornata di entusiasmo
popolare Peròn enunciò alla folla accorsa in Piazza di
Maggio i punti chiave del suo manifesto programmatico:
1 La vera democrazia è quella in cui il governo compie la
volontà del popolo e difende un solo interesse : quello del
popolo.
2 Il peronismo è essenzialmente popolare. Ogni fazione
politica è antipopolare e pertanto non è peronista.
3 Il peronista lavora per il movimento. Colui che in nome
del partito serve una fazione o un caudillo è peronista
soltanto di nome.
4 Per il peronismo c'è soltanto una classe di uomini: quella
degli uomini che lavorano.
5 Nella nuova Argentina il lavoro è un diritto che dà
dignità all'uomo, ed è un dovere perché è giusto che produca
almeno quanto consuma.
6 Per un peronista non vi può essere niente di meglio di un
altro peronista.
7 Nessun peronista deve sentirsi di più di quello che è, né
meno di quello che può essere. Quando un peronista
comincia a sentirsi superiore a quello che è, sta già
trasformandosi in un oligarca.
8 Nell'azione politica, la scala dei valori di ciascun
peronista è la seguente: prima la Patria, poi il movimento ed infine
gli uomini.
9 Per noi la politica non è un fine ma soltanto un mezzo per
il bene della patria che è costituito dalla prosperità dei
suoi figli e dalla sua grandezza nazionale.